giovedì 22 novembre 2007

L'Arrovello di Ricki Gippo

Premessa dell'Editore, cioè io il Giardiniere, i gusti saranno gusti e quindi non commento l'opera se non per dire che l'ultima riga è un capolavoro di maestria...
Spesso è il commento che faccio quando mi crogiolo in luoghi pubblici a compiere quell'atto di cui ora non vi racconto per non togliervi la susapances.
Non per niente siamo tutti Uno, non si inventa niente di nuovo.




Mi spippero l’arrovello su cose senza senso, su bignamate marginali e poseidonie di passaggio, mentre conto le vene varicose e vanitose d’un legno da soffitto un po’ masengo, meglio controsoffitto quando ti rema contro impedendoti di vedere le branchiette del cielo, amico alleato, invece, in una squaqquera di giorno come questo. Una pianta del pane si attorciglia alla finestra bussando e sento un buon profumo di fornaio: “Ah, consegne a domicilio?!” Knock Knock (eh già, è inglese) _ “J’arrive maintenant, un moment”: è il mio Rimbaud a rispondere…”Stupido cane che non sei altro, ha detto knock knock e rispondi in francese?!” Ho sempre pensato che capisse poco: troppo giovane e dissoluto. Ora il quid è dilemma su come farcire: Brucia di Picchio o Frangia d’Agnello? Per le bibite non c’è problema: abbiamo solo Zibibbo d’Acrimonio, leggero e rinfrescante. “Vabbè, per i panetti decidi tu! Io vado a vedere come sta il colchico fiorito”. Ha nidificato una segretaria sui cavi dell’alta menzione, che sfrigellano lissopra il balcone, ma non si sveglierà tramortita e imbiforcata da tutto quel chiacchiericcio, boh? Io avrei spalmato altrove il mio fresticchio, ma è anche plausibile che io non sia un volatile, per quanto di aereopidotteri ne abbia collaudati. “Ascolta un bismark, gigantessa del volteggio, quando vuoi, senza frischia, dovresti battere, senza far loro troppo male, 12 folderine di documentario sugli Incunaboli. Oh, e mi riccopando, usa puranche il besco oltre le ditta, ma non metterci troppienti errordi, che già è un argomento delicassato e sembra una paroliccia solo lui; impiagaci anche tutta la mattanza, ma sii preciosa, tanto non hai neppure caffetti da bollire, se non el tujo, es claro, perché, se vuoi, c’è un po’ di latte brancido nel frugo, e non usare il nesmerdè, che m’impuzzi la salotta. “Caro Arthur, tu sei un gran pirloide, ma anche quella lì non scarsa…” Il pastore del Cau[casio] mi ricorda l’ora e mi riporta aussì due radici quadrate, che metto in padella: mi gustano abba le soncinate, metterei solo un’aggiunta di voce in piena; Check+check+check=3cose imbarchettate. Ora mi faranno spurgare un sovrappiù, ma non è che mi perizomi più di tanto: ce li ho, io, i pindoli ed oltre le briccole… Agguanto una mano e dopo l’altra: fa frescolino e non voglio minchia prendermi un malmese. I panini c’han lo zaino a contenerli e le frecce la faretro(ò): sono frecce reversibili e scoccabili a posteriori , non hanno né la prima né la secondiana e non amano le innovazioni, specialmente tecnologistiche. Direi che son proprio prontino, il lavello è purito ed ascarmato, non ho più protervie, potrei inventarmi qualcosa per temporaleggiare, ma ci pensa già da sé quel nembo kid lì dei miei maroni glassati . Non ho comprato il flabello e ciò potrebbe rivangarsi un flagello per le mie labbra, considerando il vento frubbio che tira coca colla sulla feccia in questa regione siberiata. Oh, ma sarai minchia divertato un fringuello, mezza sirchia, vero? Cazzo è ‘sta maria degli uomini di trucchettarsi e di prendersi cura di Sam? Io non l’accetto, al massimo la taglio in altro modo, meno grossolino (buco del cuco piuttosto stretto). Son neanche a Savona che ho voglia di tornire indietro, c’ho dei pezzi da finire, io, e poi non c’è più la mano d’aperol d’un tempo: una volta il tornio era una casa ed il torchio un’altra, adesso con la globulizzazione e l’elasticità gli operai han perso la coscienza di Cles e vanno tutti in Trentino alla ricerca delle loro origini gittane. Savona, che città! Scopando nella mimosia ricordo solo momenti piacenti, un profumo di prurito e mèliga che m’artiglia e inchiuda alla baldanza, perciò scendo dal tramino che doveva condirmi all’aeropinto di Zena e vado in toilitte a lavarmi il pendolo, perché sentivo puzza di pesce, ma non era il mare ad evocarlo.
Riccardo Marchetti detto Gippo il Ricki Gianco della bassa.

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