martedì 30 ottobre 2007

CAPITOLO PRIMO – In cui nasce la locandina. Scritto da Riccardo detto Gippo

Fedor Ivanov Kurtziovic, il russo con la sciarpa di seta rossa, guarda Martin come se volesse addentargli il collo, Martin sostiene quello sguardo vampiresco e domanda il motivo del suo sequestro. Fedor si versa un bicchiere di Santa Teresa (ha sempre preferito il rum venezuelano a quello prodotto nelle Antille), ne ammaestra le rotondità sul palato, poi s’avvicina alla guancia sinistra di Martin, il quale, temendo un morso, si scosta leggermente, ma le parole giungono ugualmente al suo orecchio, provocando un brivido feroce sulla schiena, come se una foresta ipotetica, in un’inquietante fuga notturna, continuasse a sussurrare il suo nome:

“Muoiono danzando solo i sogni crescenti”.

La frase per ora ottiene il solo risultato di spaventare terribilmente Martin, ma, uscendo dalla stanza, Fedor aggiunge: ”Scavati dentro, ritorna al 1988” e si chiude la porta alle spalle;

gli occhi di Martin si spalancano, in un’espressione trasmutata d’angoscia, sul silenzio solcato dai passi del russo e dal fischiettare macabro nel corridoio, che si fa più lontano, ma che sembra portare, con voce d’orchestra, la melodia appiccicosa e melanconica in La minore di una vecchia milonga ed una strofa tagliente a fendere la memoria:

I colori provano a volare,

attirano la crudeltà del metallo,

scivolano sul sangue

e piangono _ piangono,

io ho un colore di bacio

che morde la terra.

La canzone di Ricardo De Marcos dal titolo “Muoiono danzando solo i sogni crescenti” riporta Martin nell’estate del 1988…

… E’ un bel luglio caldo e la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Barcellona laurea, come se fosse un parto, 297 studenti, molti dei quali hanno progetti immediati di carriera:

specializzazione con tirocinio ed arruffianamento, invece il giovane Martin, mentre stringe la mano al suo relatore, sente il vento del Sudamerica accarezzargli il sorriso ebete.

In una serenità di possesso e libertà Martin è transamericano: da Città del Messico a Oaxaca, a San Cristobal, da Ciudad de Bolivar a Rio de Janeiro, e giù la Terra del Fuoco, Iguazu, e chiudere un cerchio magico a Buenos Aires, per il ritorno in Europa, ma Diego Maradona è un calciatore maturo e non c’è fretta; qualche giorno nella capitale a compenetrarsi di tango e poesia borgesiana.

La seconda settimana è trascorsa e Martin sembra conoscere tutte le arie della città, quelle buone e quelle cattive, si sente a casa, in un guscio di noce grande come l’America.

Un venerdì pomeriggio decide di recarsi a Lobos, un paese della provincia, dove vivono i cugini di suo padre; il viaggio in corriera è piacevole: “chissà se ritroverà le stesse facce di quella vecchia fotografia?”

Effettivamente i parenti trapiantano radici nel cuore di Martin, ma per non farsi prendere troppo dalla nostalgia si decide di uscire a cena. Alla festa popolare, organizzata al campo sportivo, ci sarà asado, vino cileno e tango. Dopo aver mangiano ci si indirizza alla pista da ballo, l’orchestra ha già lucidato il bandoneon ed accordato i violini, partono le prime note e la cantante sfodera subito una bella densità canora sul fado di Mourao-Ferreira, Oulman (già interpretato magistralmente da Amalia Rodriguez in Portogallo) “Madrugada de Alfama”:

Mora num beco de Alfama
E chamam-lhe a madrugada
Mas ela de tao estouvada
Nem sabe como se chama.
Mora numa agua-furtada,
Que e mais alta de Alfama
A que o sol primeiro inflama
Quando acorda a madrugada
.

Nessuno balla, ma gli applausi non mancano sulla dissolvenza.

Poi la cantante si stringe i pugni sul petto, ringrazia quasi travolta dall’entusiasmo e presenta il brano successivo: Muoiono danzando solo i sogni crescenti. I ballerini affollano la pista ed è subito uno scalciar di punte e tacchi, di soffici ammiccamenti e sensuale sfilacciarsi delle solitudini.

Il reporter di un giornale locale scatta fotografie. Martin vede una ragazza molto bella, con i capelli rossi ed il vestito nero che scopre abbondanti porzioni d’umanità, si lancia impavido in un invito, pur non essendo un tanghero di classe, ma la giovane spavalderia lo sostiene. La ragazza accetta con un sorriso, ma quando i piedi cominciano a muoversi e le anche si dinoccolano, l’espressione si trasforma in una contrita concentrazione, come se stesse provando a soffiar via i mali del mondo.

Non si parla quando si balla il tango, ma i corpi dei due giovani si comunicano uno stato d’animo: Martin sente una vibrazione sotto la pelle imbrunita dal sole, Amalia sente che i suoi occhi cominciano a vedere. Sull’ultima strofa del pezzo, all’improvviso, Martin sente una mano che gli stringe una spalla e lo allontana con forza da Amalia, che viene colpita al volto da una rasoiata che risplende sullo sfondo nero del cielo, come una gibigianna, poi la lama affonda nel collo di Martin che si affloscia al suolo, comincia a piovere, l’assassino è fermo, in piedi davanti al corpo senza vita del ragazzo, è impietrito dalla sua stessa crudeltà, la gente intorno urla e fugge in varie direzioni, i parenti sono terrorizzati, Amalia è seduta su un fianco e si comprime la guancia ferita, teme ogni suo gesto, l’uomo si volta ora verso di lei e la guarda inorridito, sconvolto dalla cieca furia che gli ha fatto commettere un irreparabile errore, infatti la donna di cui era geloso ed a cui voleva dare una lezione somiglia solo vagamente ad Amalia.

L’assassino cade in ginocchio violentato e svuotato dalla sua follia, ancora rivolge lo sguardo al cadavere e scoppia a piangere. Le lacrime disperate si uniscono alla pioggia ed al sangue, che sembra non voler smettere di sgorgare dalla giugulare di Martin e quel fiume di odio e tristezza defluisce in un piccolo canale di scarico, in cui un cane randagio s’abbevera.

I cugini immobilizzano l’omicida, gli tolgono dalla mano il rasoio e folgorati dalla macabra visione, osservano il cane dissetato andar via, storto e singhiozzante, come se avesse bevuto una bottiglia di rum, anziché acqua e sangue, e qualcuno degli astanti, che non ha perso il senso dell’umorismo, grida: “Mira, el perro borracho!”

1 commento:

Anonimo ha detto...

che uomo di lettere il nostro gippo...l'abbiamo conosciuto bambino e ora eccolo qua...io voglio il libro con dedica..grande gippo.